Sono trenta più una, le storie raccontate nel testo di Stefano Tamburini. Storie di uomini e donne che hanno lottato per la libertà e l’emancipazione.
Oltre alle numerose storie femministe, nel libro di Tamburini, si possono trovare argomenti certamente più politici. È il caso della storia di Bruno Neri, calciatore ma soprattutto partigiano. La sua è una storia intricata, dove il suo essere partigiano e contro le forze opprimenti del regime, lo rende il simbolo della libertà. Sui temi dell’oppressione, aleggia anche la storia di John Kee Chung: il maratoneta, è infatti, costretto ad indossare la divisa giapponese. Di fatto le sue vittorie non appartengono alla Corea ma al Giappone. L’oppressione del regime, si legge in ogni riga, rendendo i racconti di Tamburini pregni di orgoglio verso le proprie idee o verso il proprio popolo. Storie di due uomini che non abbassano la testa, felici di avere addosso la propria bandiera, di non alzare la mano per simulare il saluto fascista. Storie di uomini coraggiosi, capaci di autoaffermarsi, e combattere per le proprie idee, fino alla fine.
La storia di Geza e Istvan, è senz’altro una delle più emozionanti del testo di Tamburini. Considerati gli “Schindler” del calcio, essi facendo leva sulla loro professione, e mettendo in scena una serie di recite, porteranno in salvo diverse vite umane. La loro è una farsa benefica, dove bussare alle porte di estranei, non è un chiaro messaggio di una morte imminente, quanto piuttosto il biglietto d’oro per un viaggio di salvataggio. Vite preziose, quelle che mettono in salvo, ma ancora più preziose, le loro, quelle di due uomini bravi nello sport, che diventano buoni anche nella vita. In un finale tragico che sotto il colpo di armi da fuoco, non lascia piede libero all’immaginazione.
Sulla stessa scia di un campo di calcio, è la storia di Sàntor. Il cui reato è quello di essersi innamorato di una donna impegnata. Il loro è un amore travagliato, fatto di colpe, paure, vuoti, fughe. Una storia dove il campo di calcio lascia campo libero a quello che per tutti era “la casa del terrore”, ovvero la sede principale della polizia segreta, dove numerose barbarie venivano commesse a discapito dei malcapitati di turno.
Sembra come immergersi nella calura di chi sta correndo in una gara. Attraverso le narrazioni vivide di Tamburini, il lettore potrà intrecciare la sua vita a quella di Kathrine Virginia, prima donna in assoluto a correre alla maratona. Il suo numero da pettorina, ovvero il 261, diviene nel tempo simbolo di lotta contro l’oppressione, in una sfida continua, dove le gambe corrono veloci e dove in 4 ore e 20 minuti si dichiara guerra ai potenti, in cerca di una libertà.
L’autore, con la storia di Arthur Ashe, racconta in maniera emozionante, la vita del primo nero che gioca a tennis nella nazionale, alla famigerata Coppa Davis. Arthur è umile e coraggioso, il suo unico “peccato” è quello di avere la pelle nera. Se dapprima, esso sembra essere l’emblema di un uomo di colore che riscatta un’intera razza, successivamente, per i più, quelli delegati alle classi più basse della società, sarà semplicemente un altro nero arricchito, che rende i neri senza talento, un popolo che resta a pelare patate o a pulire gabinetti. L’autore racconta di come molto spesso, il giudizio popolare, si pregni di un’invidia insana, attraverso la quale, non si apprezza più lo scatto di uomini e donne che portano avanti valori e classi sociali, quanto piuttosto si avverta l’esigenza di salire anch’essi sul gradino più alto del podio, e non certamente in maniera simbolica. Un discorso, quindi, che sottolinea il pregiudizio sociale, ma che si batte per una speranza infuocata, perché attraverso il successo di uno, spiega l’autore, i traguardi più grandi, possono essere raggiunti anche dagli altri, giovandone insieme.
Editore: Il Foglio
Genere: Narrativa
Numero di pagine: 217
Anno di Pubblicazione: dicembre 2022